C’era davvero bisogno di un altro articolo su Freddie Mercury? Beh, obiettivamente no. Su di lui è stato detto tutto e il contrario di tutto. Ma io non ho mai scritto niente e mi va di farlo. Anche perché è grazie a lui che io canto.
Avevo imparato a suonare le prime note sul mio organetto Bontempi quando feci il primo upgrade di strumentazione ad una Yamaha con qualche nota e qualche suono in più. Aveva anche un pezzo di plastica piatto che si poteva inserire sul fondo della tastiera e diventava un pratico e comodo leggìo porta spartiti. Non so se avete mai avuto uno strumento con un porta spartiti o un leggìo: bene, se non ci mettete sopra uno spartito sembra drammaticamente vuoto. Tristemente vuoto. E così, pur sapendo leggere a malapena su pentagramma ci volli mettere su uno spartito.
“Papàààààààààà”
“Dimmi!”
“Mi dai uno spartito?”
“Uno spartito di cosa?”
“Boh, quello che vuoi!”
“Guarda tra quelli lì dietro la porta”
Chiusi la porta e dietro c’erano tutti gli spartiti di mio padre: qualcuno manoscritto, qualcun altro stampato e preso da chissà dove, visto che all’epoca non c’era internet, qualche raccolta di Baglioni e dei Pooh che negli anni successivi mi accompagnarono per lunghi pomeriggi al posto dei compiti. Però c’era un insieme di spartiti tutti uguali, belli, sembravano più professionali ed era quello che volevo sul mio leggìo Yamaha. Era una collezione De Agostini che si chiamava Il Cantautore, composto da musicassette e fascicoli, con accordi spiegati a voce e sugli spartiti. Buono per chi doveva imparare.
All’epoca non è che conoscevo molte canzoni, perché avevo appena cominciato questo percorso, quindi iniziai a sfogliare i fascicoli cercando almeno una canzone che conoscevo. Dovetti scartare 19 fascicoli prima di trovare una canzone che sapevo dall’inizio alla fine (c’era Sitting on the dock of the bay, in un numero, ma sapevo solo le prime due frasi e non dava troppa soddisfazione). In ogni numero c’erano 4 canzoni principali e al numero 20 c’erano: Dancing Queen degli Abba, Io ho in mente te degli Equipe84, Il Mondo di Jimmy Fontana e infine We Are the Champions dei Queen.
We Are the Champions la sapevo, l’avevo sentita un sacco di volte e mi piaceva l’idea di suonarla. Ecco, però prima di tutto mettiamo la cassetta che sentiamo di cosa si tratta. Perché come dice Aldo Baglio in Tu la conosci Claudia? “Un attimo che impostiamo il navigatore, perché un conto è chi è Wagner, un conto è dov’è Wagner”. Il pezzo l’avevo sentito, ma da questo a saperlo tanto da suonarlo ne passava. Ascoltiamolo.
I’ve paid my dues/Time after time
I’ve done my sentence/but committed no crime
Però, che bella voce, non me lo ricordavo così questo pezzo…
And bad mistakes/I’ve made a few
I’ve had my share of sand kicked in my face but I’ve come through
Mamma mia, che roba…
We are the champions, my friends
And we’ll keep on fighting ‘til the end
We are the champions/We are the champions
No time for losers/‘Cause we are the champions of the world
Un pensiero solo, bambinesco, innocente: io voglio essere come questo qui. Non potendo pensare razionalmente che non ci sarà mai più nessuno come lui. Mai.
Ma nella visione di quel bambino diventare come Freddie era non solo possibile, ma necessario. Crescendo ho imparato che seguire le orme di chi ci è riuscito prima di te è una strategia per arrivare agli obiettivi e che nessun sogno è mai troppo grande se metti tutto te stesso per raggiungerlo. Il fatto è che io potrei anche riuscire, un giorno, a scrivere una delle più grandi canzoni di tutti i tempi, potrei riuscire a cantare davanti a decine di migliaia di persone a Wembley e potrei pure diventare il più grande cantante del mondo. Ma non sarò mai come Freddie. Adesso però mi rendo conto che non voglio diventare come lui, perché ho troppa emozione e troppo rispetto nel pensare a quello che è stato per la musica, per il rock, per me.
Non starò qui ad elencarvi tutto quello che FM e i Queen hanno fatto e i traguardi che hanno raggiunto, per quello andate a farvi un giro veloce su Wikipedia o su qualsiasi altro sito informativo, leggetevi le biografie o i libri sull’argomento: vi faranno passare dei bei momenti e vi daranno un’idea generale del fenomeno che i Queen sono stati dagli anni ’70 in poi. Poi fate un’altra cosa: guardatevi qualche concerto live, tipo Wembley o Montreal. E lì capirete cosa ha fatto Freddie per quella figura che viene definita frontman, quello che sta davanti, quello che si becca il bene e il male del pubblico, quello che è il tramite dell’energia di prove, ore di studio, sacrifici.
Per me Freddie è stato una luce, un esempio, una guida sulla strada da prendere e rendergli omaggio, a 25 anni dalla sua scomparsa, non è per niente facile. L’unico modo che mi è venuto in mente è con la sua musica, le sue parole, le sue melodie e il suo strumento, il pianoforte. Un album tributo a lui e a quello che è stato.
Lui sarebbe d’accordo, gli piaceva che il pubblico godesse delle sue performance. E, in fondo, the show must go on.
I thank you, Freddie.
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