Adoro le imprese sportive.
E al netto degli infortuni di Golden State, questa notte in NBA si è consumata un’impresa sportiva incredibile. I Toronto Raptors vincono il loro primo titolo contro quella che da molti è definita una delle squadre più forti della storia.
Sì, se non si fosse fatto male Kevin Durant…sì, se non si fosse fatto male Klay Thompson…sì, se DeMarcus Cousins fosse stato più in forma…Tutto vero, ma rimane il fatto che i campioni NBA del 2018/2019 sono i Toronto Raptors, la prima squadra non americana a vincere il titolo, con uno straordinario Kawhi Leonard che ha negato il three-peat sia agli Heat nel 2014 che ai Warriors quest’anno.
E se non sapete neanche di cosa sto parlando, perché non avete idea di cosa sia l’NBA e chi siano queste squadre dai nomi altisonanti, forse vi interesserà sapere degli uomini che stanno dietro a questa impresa.
Partiamo proprio da Kawhi Leonard, colui che è il volto di questa vittoria. Non sempre il migliore in campo, ma di sicuro il protagonista indiscusso di queste partite (nominato appunto il miglior giocatore delle finali).
Leonard nasce nel 1991 dalle parti di Los Angeles, California, e vive una vita abbastanza tranquilla fino a quando, a 16 anni, suo padre viene assassinato. Dopo questo episodio (chiuso molto frettolosamente dalla polizia), Kawhi si chiude ancora di più in sé stesso e decide che diventerà un campione di basket: si allena più degli altri, si auto-punisce quando sbaglia con 20 flessioni aggiuntive. Sbarca in NBA nel 2011 e due anni dopo è in finale contro i Miami Heat di LeBron James, uno che se non è il più forte giocatore di basket di tutti i tempi, poco ci manca. Perde. Perde e sbaglia uno dei tiri liberi più importanti. Ovviamente non ci sta e torna subito ad allenarsi e l’anno dopo, di nuovo in finale contro gli Heat e LeBron James, vince il suo primo titolo NBA. Ma è ieri sera che ha compiuto il miracolo, perché se quel primo titolo arriva con una squadra tutto sommato creata per vincere, contro una squadra di campioni, ma con molte lacune (soprattutto difensive), questa vittoria arriva contro una squadra incredibile, piena di talenti e tatticamente ineccepibile. Nel nome di suo padre e della sua forza di volontà.
Poi c’è Jeremy Lin. Lui non è stato affatto un protagonista delle finali, anzi. Però il titolo se lo porta a casa anche lui. E per come era cominciata la sua carriera in NBA nessuno l’avrebbe mai pensato.
In realtà la sua carriera in NBA non è proprio iniziata. Al momento di essere scelto, dopo l’università (Harvard, tra l’altro), nessuna squadra NBA si è fatta avanti, ma lui è riuscito ad entrare nei Golden State Warriors (proprio quelli che questa notte ha battuto con i suoi compagni) come l’ultimo dei panchinari. A fine anno viene praticamente tagliato e “rimandato” senza quasi mai mettere piede in campo. E così l’anno successivo, quando viene acquistato dai New York Knicks. Qui era ancora oltre l’ultimo dei panchinari, ci mancava poco che si mettesse a fare il magazziniere, e non aveva neanche una casa, ma dormiva sul divano del fratello.
Una sera il fratello gli chiede se può dormire fuori, perché quella sera avrebbe dato una festa: lui chiede ospitalità ad un suo compagno di squadra e dorme sul suo divano. Il giorno dopo, complici vari infortuni nella squadra dei giorni precedenti, si ritrova in campo al Madison Square Garden molti minuti in più di quanto dovrebbe, con molti più palloni da giocare del solito. E capisce che quella è la sua opportunità, quella che ha aspettato così tanto. Ne mette 25 e negli USA scoppia la moda di Jeremy Lin e della “Lin-sanity“. Da qui la sua carriera non decolla affatto, è un discreto giocatore ma mai protagonista. E a febbraio 2019, dopo un buon numero di cambi squadra in questi anni, viene acquistato da Toronto per coprire degli infortunati. E lui si fa trovare pronto, sempre. Fino a vincere il titolo. Se Kawhi Leonard è l’emblema della volontà e del sacrificio, la storia di Jeremy Lin ci insegna che non sai mai quando passa il treno, ma tu devi essere pronto a salirci al volo.
Poi c’è la storia di Paskal Siakam, nato in Camerun e destinato a studi religiosi, prima di cominciare ad appassionarsi allo sport. Prima al calcio, sport famosissimo in quella parte di mondo. E poi, grazie a dei campus organizzati nella sua città, al basket, sport a cui non aveva mai giocato. Finisce per convincere qualcuno e parte per gli Stati Uniti dove inizia a studiare al college per poi venire scelto proprio da Toronto. Anche suo padre scompare mentre lui è al college, così come il padre di Fred Van Vleet, altro protagonista pazzesco di questa impresa.
Poi ci sarebbe da parlare di Marc Gasol, spagnolo e sempre all’ombra del fratello Pau, già vincitore di titoli NBA, che con questa notte diventano gli unici fratelli ad aver vinto un titolo NBA con squadre diverse. Ci sarebbe da parlare di Serge Ibaka, Danny Green, OG Anunoby: tutte storie di rivalsa, di maniche tirate su per eccellere in uno sport a cui non sembravano destinati.
Ma vorrei chiudere con le parole di Kyle Lowry, uno dei protagonisti indiscussi di questi anni in cui Toronto, pian piano, si è avvicinata al tetto del mondo per poi sfondarlo ieri sera.
Solo qualche giorno fa, prima di una delle gare di finali, Lowry rispondeva così:
“Che cos’è la pressione per me? Passare ciò che hanno passato mia mamma e mia nonna per sfamare me, mio fratello, mio cugino, l’altro mio cugino e il terzo cugino, il più piccolo. Andare a lavorare svegliandosi alle 5 del mattino, per farci trovare una tazza di cereali nel frigo e un po’ di latte. Essere in grado di provvedere per me e mio fratello, per la mia famiglia, questa è la vera pressione. Significa questo essere ‘sotto pressione’ per me. La volontà di fare in modo che tuo figlio veda un mondo migliore di quello che hai visto tu. Prendere i mezzi pubblici per viaggiare ad un’ora e mezza di distanza. Questi sono i veri eroi secondo me. Andare a lavorare, faticando e facendo tutto il possibile per provvedere alla tua famiglia e proteggere chi devi proteggere”.
Kyle Lowry
Forse Toronto non avrebbe vinto, se non ci fossero stati tanti infortuni dall’altra parte; forse, a livello sportivo, era più giusto vincesse Golden State, perché sono oggettivamente i più forti. Forse.
Ma a livello umano, Toronto e tutti quelli che ci giocano si sono presi una bella rivincita sulla vita.
#WeTheNorth
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